Eleonora Lorenzet
Ha passato buona parte della sua vita nascost* dietro una maschera, come praticamente ogni persona neurodivergente diagnosticata in tarda età.
Una maschera che è rifugio, sopravvivenza, ma anche briglia, gabbia, trappola.
Sta lentamente cercando di rimuoverla, per trovare la sua vera essenza.
Ha deciso di farlo attraverso la fotografia.
Nat* a Milano nel 1990, cresciut* tra le risaie del pavese e i boschi brianzoli, non sì è mai sentit* a casa né in un luogo, né nel suo corpo, solo nell’arte: tra note musicali, dipinti, le pellicole di un film e le pagine di un libro – fin da piccolissim*, quando la madre passava ore a leggerl* fiabe e racconti o l* insegnava a disegnare.
Al suo nome, Eleonora, sia i Beatles che Edgar Allan Poe hanno sempre associato solitudine e un velo d’oscurità, che l* sono state compagne per tutta la vita. È grazie a loro che ha cominciato ad apprezzarlo, un nome che sembrava fuori dal tempo quanto si sentiva l*i.
Si è sempre riconosciut* in ciò che era insolito e malinconico, complice la sua tendenza a rifugiarsi in un mondo immaginario interiore popolato di pensieri forti e personaggi fantastici.
Era più semplice e stimolante rinchiudersi in quella dimensione, piuttosto che uscire nel mondo reale.
Mondo reale che però si ostinava a bussare alla sua porta.
Da piccol* osservava la cura con cui suo padre fotografava e immortalava ricordi.
C’era una magia speciale nell’imprimere in modo permanente momenti destinati a perdersi nella memoria, nel conservare attimi perfettamente congelati, l’impressione di persone ormai cambiate o andate via.
Cercava d’imitarlo, senza sapere bene cosa stesse facendo, ma con la sensazione che fosse un processo importante.
Quel mondo reale che tanto fuggiva, attraverso gli scatti sembrava cambiare sapore.
Dopo aver studiato fumetto e illustrazione, sceneggiatura e scrittura creativa, ha ripreso in mano la macchina fotografica e ne ha fatto il suo dizionario per tradurre il mondo, dare un senso a ciò che vede e tentare di spiegare ciò che sente.
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